mercoledì 17 aprile 2019

Risposta a lettera al Direttore“Se le mamme italiane allattano poco...di chi è la colpa?”


La lettura attenta della lettera dell’11 aprile 2019 di Alberto Villani, Presidente della Società Italiana di Pediatria, ci induce ad alcune considerazioni
I dati epidemiologici relativi ai tassi di allattamento cui si fa riferimento nella lettera sono ancora più allarmanti. A leggere con attenzione gli stessi dati dell’Istat riportati da A. Villani, si può rilevare che “la percentuale di bambini allattati al seno in uscita dai punti nascita dell’85,5%” si deve interpretare come neonati che non necessariamente hanno ricevuto solo latte materno; i tassi di allattamento esclusivo alla dimissione sono certamente molto più bassi; per esempio, una recente indagine della Regione Sicilia stima l’allattamento esclusivo alla dimissione al 33,7%. Inoltre, il 46% di allattamento esclusivo/predominante non è a 6 mesi, ma in bambini tra 0 e 6 mesi di età (per la precisione, si tratta di una media non ponderata); l’allattamento esclusivo/predominante a 6 mesi è molto più basso, probabilmente ben al di sotto del 10%, in base a dati regionali e locali disponibili in letteratura.
Non possiamo che concordare che “le condizioni socio-economiche e culturali abbiano particolare rilievo” nella scelta di allattare, che sia determinante “tutelare la possibilità per la madre di allattare” e che in Italia “le politiche di tutela della maternità e quindi dell’allattamento” siano assenti e/o marginali e poco incisive”.

Dissentiamo tuttavia rispetto ad altri contenuti.
Riteniamo, difatti, che anche gli operatori sanitari (pediatri compresi) che incontrano le mamme durante tutto il percorso nascita abbiano una responsabilità nei bassi tassi di allattamento. Per accennare solo ai pediatri, alla recente Conferenza nazionale sull’allattamento tenutasi al Ministero della Salute il 23 gennaio scorso è stato proprio il Prof. Buonocore, (in rappresentanza dei direttori delle Scuole di Specializzazione in Pediatria), a denunciare la carenza formativa degli specializzandi italiani. È un dato di fatto incontrovertibile, cui nella lettera non si accenna.
Non sappiamo cosa intenda A. Villani per “criminalizzare i latti adattati e chi li produce” né a chi si riferisca: esistono associazioni che si sono sempre impegnate in azioni miranti a far rispettare il Codice Internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno (sottoscritto dal Ministro della Salute) e la Legge che (in parte) lo recepisce; questa dovrebbe essere una priorità anche dei pediatri e delle associazioni che li rappresentano. Nessuno mette in dubbio che, nei casi in cui una mamma non possa o non voglia allattare, le formule artificiali rappresentino (sotto l’anno di vita) una valida alternativa.
Riteniamo, altresì, che i rapporti tra “le Aziende che si occupano di alimentazione infantile e i professionisti più qualificati nella nutrizione dell’età evolutiva (i Pediatri)” debbano essere trasparenti, cioè resi pubblici, compresi i dettagli su chi paga chi e per cosa, così come i bilanci delle Società scientifiche e dei sindacati dei pediatri. La letteratura scientifica internazionale abbonda di studi che dimostrano come le spese in marketing rivolte ai pediatri abbiano un chiaro riscontro nelle vendite di formule e alimenti per l’infanzia con ricadute negative sull’allattamento.
Sarebbe un bel segnale, per aumentare la fiducia nei professionisti, se la SIP decidesse di fare a meno dei contributi elargiti, in diverse modalità, dalle ditte che hanno interessi a promuovere sostituti del latte materno. Esistono esempi di buone pratiche: il Royal College of Paediatrics and Child Health (l’equivalente britannico della SIP) ha annunciato il 13 febbraio 2019 che non accetterà più finanziamenti da parte dell’industria dei sostituti del latte materno[2],e anche il prestigioso BMJ ha da poco annunciato che non accetterà più pubblicità per gli stessi prodotti[3].
Concordiamo con A. Villani che in questi anni c'è stato un “fiorire di associazioni e gruppi di persone” che si stanno occupando di questi aspetti così rilevanti per la salute dei bambini. In effetti, in Italia, come in molti altri paesi del mondo, sono proprio i “gruppi di sostegno tra pari” che si sono dimostrati più efficaci (con numerosi lavori scientifici a supporto) nel sostenere le mamme che allattano. Si tratta di mamme adeguatamente formate attraverso corsi che (ahinoi!) spesso, come già scritto, non vengono tenuti nei corsi di medicina e nelle scuole di specializzazione in pediatria. Questo tipo di sostegno è talmente importante che è incluso nei 10 passi delle iniziative OMS-UNICEF per il sostegno all’allattamento. Piuttosto che demonizzare questi gruppi, sarebbe bene valorizzarli e inserirli in progetti virtuosi di partenariato: gli esempi, anche in Italia, per fortuna, non mancano.
Per quanto scritto prima, concordiamo che il “latte vaccino non è indicato sotto l’anno di età”; allo stesso modo riteniamo che, prima di consigliare un sostituto del latte materno, i genitori debbano essere informati anche di quanto comporti l’alimentazione con formula per la salute della mamma e del bambino, a breve, medio e lungo termine.
Non ci risulta che la “prescrizione di un latte adattato è di fatto interdetta ai pediatri”; forse A. Villani si riferisce al fatto che uno degli standard dell’Iniziativa Ospedali e Comunità Amici dei Bambini dell’Unicef prevede che non si possa indicare il nome commerciale di un sostituto nelle lettere di dimissione dalla maternità, norma recepita anche dalla legislazione italiana (DM 82/2009). Questo divieto ha un senso perché ha lo scopo di allontanare il pediatra dalle ditte nel momento dell’indicazione alla mamma, senza alcun risvolto negativo sulla salute del neonato; perché se tra una formula A e una B in commercio ci fosse una differenza dimostrata per la salute dei bambini allora Associazioni e Società Scientifiche pediatriche dovrebbero battersi per far togliere dal commercio la formula “nociva”. E tutti siamo a conoscenza delle turnazioni di formule in diversi punti nascita: che differenza c’è se è la mamma (o chi per lei) o un pediatra a decidere se quel mese si utilizzerà la formula A o quella B?
Saremo accanto alla SIP se vorrà chiedere con forza “un provvedimento di legge, come avvenuto in altre nazioni europee, che crei le condizioni economiche e sociali per consentire alle madri di allattare serenamente almeno nei primi 6 mesi di vita accanto al loro piccolo” e “un sostegno economico alla madre che allatta, la tutela del posto di lavoro della madre lavoratrice, la disponibilità di asili nido accoglienti, sicuri e gratuiti”. Tuttavia noi riteniamo che questi provvedimenti debbano far parte di un progetto complessivo in cui tanti altri fattori devono essere tenuti in considerazione: tra questi, anche un’adeguata formazione degli operatori (non solo dei pediatri) e le misure di protezione delle famiglie dal marketing delle ditte.
A questo proposito sarebbe importante fare a meno, in eventi e congressi pediatrici, del finanziamento delle ditte che producono sostituti del latte materno: già a partire dal prossimo Congresso nazionale SIP a Bologna.
Questo sì che sarebbe un segnale di svolta!

La ringraziamo dell’attenzione e Le auguriamo buon lavoro

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