La lettura attenta della lettera dell’11 aprile 2019 di Alberto Villani, Presidente
della Società Italiana di Pediatria, ci induce ad alcune considerazioni
I dati epidemiologici relativi ai tassi di
allattamento cui si fa riferimento nella lettera sono ancora più allarmanti. A
leggere con attenzione gli stessi dati dell’Istat riportati da A. Villani, si
può rilevare che “la percentuale di bambini allattati al seno in uscita dai
punti nascita dell’85,5%” si deve interpretare come neonati che non
necessariamente hanno ricevuto solo latte materno; i tassi di allattamento
esclusivo alla dimissione sono certamente molto più bassi; per esempio, una
recente indagine della Regione Sicilia stima l’allattamento esclusivo alla
dimissione al 33,7%. Inoltre, il 46% di allattamento esclusivo/predominante non
è a 6 mesi, ma in bambini tra 0 e 6 mesi di età (per la precisione, si tratta
di una media non ponderata); l’allattamento esclusivo/predominante a 6 mesi è
molto più basso, probabilmente ben al di sotto del 10%, in base a dati
regionali e locali disponibili in letteratura.
Non possiamo che concordare che “le condizioni
socio-economiche e culturali abbiano particolare rilievo” nella scelta di
allattare, che sia determinante “tutelare la possibilità per la madre di
allattare” e che in Italia “le politiche di tutela della maternità e quindi
dell’allattamento” siano assenti e/o marginali e poco incisive”.
Dissentiamo tuttavia rispetto ad altri contenuti.
Riteniamo, difatti, che anche gli operatori sanitari
(pediatri compresi) che incontrano le mamme durante tutto il percorso nascita
abbiano una responsabilità nei bassi tassi di allattamento. Per accennare solo
ai pediatri, alla recente Conferenza nazionale sull’allattamento tenutasi al
Ministero della Salute il 23 gennaio scorso è stato proprio il Prof. Buonocore,
(in rappresentanza dei direttori delle Scuole di Specializzazione in
Pediatria), a denunciare la carenza formativa degli specializzandi italiani. È
un dato di fatto incontrovertibile, cui nella lettera non si accenna.
Non sappiamo cosa intenda A. Villani per
“criminalizzare i latti adattati e chi li produce” né a chi si riferisca:
esistono associazioni che si sono sempre impegnate in azioni miranti a far
rispettare il Codice Internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del
latte materno (sottoscritto dal Ministro della Salute) e la Legge che (in parte)
lo recepisce; questa dovrebbe essere una priorità
anche dei pediatri e delle associazioni che li rappresentano.
Nessuno mette in dubbio che, nei casi in cui una mamma non possa o non voglia
allattare, le formule artificiali rappresentino (sotto l’anno di vita) una
valida alternativa.
Riteniamo, altresì, che i rapporti tra “le Aziende che
si occupano di alimentazione infantile e i professionisti più qualificati nella
nutrizione dell’età evolutiva (i Pediatri)” debbano essere trasparenti, cioè resi pubblici, compresi i dettagli su chi paga chi e
per cosa, così come i bilanci delle Società scientifiche e dei sindacati dei
pediatri. La letteratura scientifica internazionale abbonda di studi che
dimostrano come le spese in marketing rivolte ai pediatri abbiano un chiaro
riscontro nelle vendite di formule e alimenti per l’infanzia con ricadute
negative sull’allattamento.
Sarebbe un bel
segnale, per aumentare la fiducia nei
professionisti, se la SIP decidesse di fare a meno dei contributi
elargiti, in diverse modalità, dalle ditte che hanno interessi a promuovere
sostituti del latte materno. Esistono esempi di buone pratiche: il
Royal College of Paediatrics and Child Health (l’equivalente britannico della
SIP) ha annunciato il 13 febbraio 2019 che non accetterà più finanziamenti da
parte dell’industria dei sostituti del latte materno[2],e
anche il prestigioso BMJ ha da poco annunciato che non accetterà più
pubblicità per gli stessi prodotti[3].
Concordiamo con A. Villani che in questi anni c'è
stato un “fiorire di associazioni e gruppi di persone” che si stanno occupando
di questi aspetti così rilevanti per la salute dei bambini. In effetti, in
Italia, come in molti altri paesi del mondo, sono proprio i “gruppi di sostegno tra pari” che si sono dimostrati più
efficaci (con numerosi lavori scientifici a supporto) nel sostenere le mamme
che allattano. Si tratta di mamme adeguatamente formate attraverso corsi
che (ahinoi!) spesso, come già scritto, non vengono tenuti nei corsi di
medicina e nelle scuole di specializzazione in pediatria. Questo tipo di sostegno è talmente importante che è incluso nei 10
passi delle iniziative OMS-UNICEF per il sostegno all’allattamento. Piuttosto che demonizzare questi gruppi,
sarebbe bene valorizzarli e inserirli in progetti virtuosi di partenariato: gli
esempi, anche in Italia, per fortuna, non mancano.
Per quanto scritto prima, concordiamo che il “latte
vaccino non è indicato sotto l’anno di età”; allo stesso modo riteniamo che,
prima di consigliare un sostituto del latte materno, i genitori debbano essere
informati anche di quanto comporti l’alimentazione con formula per la salute
della mamma e del bambino, a breve, medio e lungo termine.
Non ci risulta che la “prescrizione di un latte
adattato è di fatto interdetta ai pediatri”; forse A. Villani si riferisce al
fatto che uno degli standard dell’Iniziativa Ospedali e Comunità Amici dei
Bambini dell’Unicef prevede che non si possa indicare il nome commerciale di un
sostituto nelle lettere di dimissione dalla maternità, norma recepita anche
dalla legislazione italiana (DM 82/2009). Questo divieto ha un senso perché ha
lo scopo di allontanare il pediatra dalle ditte nel momento dell’indicazione
alla mamma, senza alcun risvolto negativo sulla salute del neonato; perché se
tra una formula A e una B in commercio ci fosse una differenza dimostrata per
la salute dei bambini allora Associazioni e Società Scientifiche pediatriche
dovrebbero battersi per far togliere dal commercio la formula “nociva”. E tutti
siamo a conoscenza delle turnazioni di formule in diversi punti nascita: che
differenza c’è se è la mamma (o chi per lei) o un pediatra a decidere se quel
mese si utilizzerà la formula A o quella B?
Saremo accanto alla SIP se vorrà chiedere con forza
“un provvedimento di legge, come avvenuto in altre nazioni europee, che crei le
condizioni economiche e sociali per consentire alle madri di allattare
serenamente almeno nei primi 6 mesi di vita accanto al loro piccolo” e “un
sostegno economico alla madre che allatta, la tutela del posto di lavoro della
madre lavoratrice, la disponibilità di asili nido accoglienti, sicuri e
gratuiti”. Tuttavia noi riteniamo che questi provvedimenti debbano far parte di
un progetto complessivo in cui tanti altri fattori devono essere tenuti in considerazione:
tra questi, anche un’adeguata formazione degli operatori (non solo dei
pediatri) e le misure di protezione delle famiglie dal marketing delle ditte.
A questo proposito sarebbe importante fare a meno, in eventi e congressi
pediatrici, del finanziamento delle
ditte che producono sostituti del latte materno: già a partire dal prossimo
Congresso nazionale SIP a Bologna.
Questo sì che sarebbe
un segnale di svolta!
La ringraziamo
dell’attenzione e Le auguriamo buon lavoro
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