martedì 20 maggio 2014

Perché non dobbiamo avere paura delle figure di sostegno. Doula e dintorni: un tentativo di fare chiarezza


A cura di CreAttivaMente Ostetriche

Quello dell'’ostetrica è tra i ruoli sociali più antichi della storia dell’'umanità. E’ la donna che assiste il travaglio e il parto, conosce le donne della propria comunità, le loro storie, il loro stato di salute e le accompagna durante tutto l’arco della vita. E'’ una figura che esiste in tutte le società, da sempre.

Esistono altri ruoli sociali femminili, figure di supporto che sono presenti nei momenti importanti della vita di una donna e la sostengono, offrendo aiuto pratico ed esperto nella gestione quotidiana. Una di queste è quella che oggi chiamiamo doula. È una donna che ha già vissuto l'esperienza della maternità e che sta accanto ad altre donne in questo speciale momento. Il nome trae origine dalla parola greca schiava ed è stato scelto proprio per  significare l’estrema disponibilità di ascolto e sostegno che questa figura  vuole offrire alle donne.

Da wikipedia : La doula è una figura assistenziale non sanitaria che si occupa del supporto alla donna lungo tutto il percorso, dalla gravidanza fin dopo la nascita. È una donna che, forte della sua esperienza personale e della sua preparazione, offre un sostegno su misura, intimo e confidenziale, nel pieno rispetto delle scelte delle persone che si rivolgono a lei.
L'antropologa Dana Raphael usò per prima questo termine, per riferirsi a madri già con prole a carico, che assistevano le neo-madri nell'allattamento e nelle prime cure al neonato. Così il termine sorse inizialmente in riferimento al contesto del postpartum. Ma sappiamo quanto il sostegno emotivo assuma significato e importanza durante il travaglio: i ricercatori medici Marshall Klaus e John Kennell condussero studi clinici randomizzati dimostrando i vantaggi per la salute a breve e lungo termine della presenza silenziosa e non disturbante della doula durante il parto. Dunque una figura femminile di sostegno, non sanitaria: una "buona madre" che  conforta e sostiene. Nei paesi anglosassoni le doula si prendono carico anche di sostenere la donna nella sua scelta di interruzione della gravidanza: la "abortion doula" si offre di accompagnare un'altra donna in questo percorso, quando le difficoltà contingenti lo rendono troppo difficile e penoso.
Ma chi è l'ostetrica?

Da wikipedia: L'ostetrica è una professionista sanitaria che, in possesso del diploma universitario abilitante o della laurea e dell'iscrizione all'albo professionale, assiste e consiglia la donna nel periodo della gravidanza, durante il parto e nel puerperio, conduce e porta a termine parti eutocici con propria responsabilità e presta assistenza al neonato. Inoltre partecipa ad interventi di educazione sanitaria e sessuale  nell'ambito della famiglia e nella comunità; alla preparazione psicoprofilattica al parto; alla preparazione e all'assistenza ad interventi ginecologici; alla prevenzione e all'accertamento dei tumori della sfera genitale femminile; ai programmi di assistenza materna e neonatale. Contribuisce anche alla formazione del personale di supporto e concorre direttamente all'aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e alla ricerca. L'ostetrica individua situazioni potenzialmente patologiche che richiedono intervento medico e pratica le relative misure di particolare emergenza. L'ostetrica opera nei consultori pubblici e privati, dove oltre a essere un costante punto di riferimento per le donne, riguardo all'uso della contraccezione e dell'interruzione della gravidanza, esegue pap test, tamponi, visite in gravidanza,segue la crescita dei bambini fino ai due anni, tiene corsi di accompagnamento alla nascita, sostegno all'allattamento e  riabilitazione del pavimento pelvico.

Anche se nella medicina moderna si è affermata come la figura sanitaria di riferimento per la salute sessuale e riproduttiva della donna, l'ostetrica, come la doula, è una figura di cura e sostegno, che nasce come sapere femminile trasmesso e arricchito da una generazione all'altra.

Perché allora, se le due figure hanno competenze  diverse e non sovrapponibili, sembrano tanto difficili la convivenza e la collaborazione tra ostetriche e altre figure di sostegno alle donne?
Abbiamo provato ad analizzarne le ragioni, raccogliendo le nostre idee, esperienze, perplessità, timori. Proponiamo in questo documento una sintesi di quelle che sono a nostro avviso le opportunità e i rischi della presenza sempre maggiore di figure di supporto di diverso tipo (doula, mother assistant, educatrici perinatali, mamme di sostegno tra pari e altre). Consideriamo questo documento un punto di partenza, una riflessione in progress che vorremmo approfondire e allargare a quante si occupano di salute al femminile.

Cosa implica la presenza di figure di supporto non professionali dalla prospettiva delle donne
Cominciamo con le opportunità.

Il bisogno emergente di non essere lasciate sole. Ci sembra che la presenza di queste figure di supporto risponda oggi a un bisogno emergente delle donne, delle coppie e delle famiglie. Da sempre, le donne sono state sostenute da altre donne durante la nascita e il puerperio. Mentre la levatrice si occupava della parte più direttamente legata alla salute della madre e del bambino, le nonne, le sorelle, le madri, all’interno della comunità di donne, si prendevano cura della neomamma. I profondi cambiamenti sociali, la famiglia mononucleare, la disaggregazione sociale legata all’urbanizzazione, la permanenza al lavoro delle donne (madri, nonne) fino ad un’età avanzata, hanno fatto venire meno questa rete di sostegno da donna a donna nelle società moderne. Pensiamo alle donne. Dopo la dimissione dall’ospedale sono sole. Non solo manca la continuità assistenziale professionale dell’ostetrica e le visite in puerperio a domicilio garantite, ma manca soprattutto il sostegno quotidiano all’interno della famiglia e della comunità. E’ normale ed è, anzi, un’opportunità, che laddove il bisogno delle donne continui a essere presente subentrino altre figure di sostegno. Il sostegno tra pari è considerato da tempo nel mondo scientifico una buona pratica ed è comune e molto diffuso in vari ambiti della salute pubblica. Nel percorso della nascita, è raccomandata dalle più importanti politiche nazionali, incluse le iniziative Amiche del Bambino promosse da OMS e Unicef e sostenute dal Ministero della Salute. 

Il bisogno di sostegno emotivo e di aiuto pratico. Le donne, le coppie, hanno diversi bisogni. Tra questi c’è il bisogno di sentirsi comprese, non giudicate, sostenute emotivamente e praticamente nel quotidiano. Le figure di sostegno, doula, mamme di sostegno, mother assistant e altre, fanno anche questo. Sono presenti, come un albero alla cui ombra la neomamma si può fermare a riposare. E offrono quell’aiuto pratico di cui una coppia con un bambino piccolo ha tanto bisogno; aiutano la coppia a fare il punto dei propri bisogni e se ne prendono cura con l’ascolto e con attività concrete, come occuparsi dei bambini più grandi o verificare che in frigo ci sia qualcosa da mangiare. Queste attività di cura sono, da sempre, patrimonio del sostegno delle donne alle donne. 

La “cura” come patrimonio della vita quotidiana. Le cure che si prestano al proprio bambino possono tornare a far parte della cultura della donna e della coppia. Attualmente le coppie si rivolgono al professionista per ogni cosa, anche quando le cose fanno in realtà parte della normalità quotidiana. La presenza di altre mamme, non professioniste, stimola i neogenitori a fare appello alle proprie risorse, promuove empowerment e rinforza la cultura della normalità.

Quali sono i rischi legati alla presenza di figure di supporto non professionali, visti dalla prospettiva delle donne?

L’affidabilità della figura di sostegno. Per “affidabilità” intendiamo il fatto che ciò che la figura di sostegno dice o fa sia adeguato. Questo concetto è fortemente collegato alla formazione delle figure di sostegno, attualmente non regolamentata e comunque non verificabile dalle coppie, e all’assunzione di responsabilità per il proprio operato. Al momento non è possibile per una coppia capire esattamente che tipo di formazione abbia ricevuto la figura di sostegno. Su questo punto c’è molta confusione che aumenta quando viene usata la parola “professione” e titoli accademici come “dott.ssa”. Dire “dott.ssa Paola Rossi, doula” è confondente per l’utenza, perché induce a pensare che la doula sia portatrice di una laurea. Se Paola Rossi è economista, farmacista, sociologa, fisico nucleare, avvocato o altro, il titolo di Dottore va usato in modo appropriato. Non intendiamo mettere in discussione la qualità di tutti i corsi di formazione per figure di sostegno, su cui sarebbe comunque opportuno fare maggiore chiarezza, ma riteniamo che la trasparenza nei confronti dei cittadini sia essenziale. Il secondo aspetto riguarda la verifica dell’operato delle figure di sostegno. Se esiste, per le professioni sanitarie, un chiaro quadro normativo e giuridico di riferimento, non è la stessa cosa per le figure di sostegno. In assenza di una regolamentazione in materia, attualmente non è possibile verificare la competenza e l’aggiornamento di queste figure. Nel caso in cui la formazione non sia verificabile e la competenza dubbia, si rischia di aggiungere ulteriori presenze di disturbo sul percorso della mamma e del bambino. Non solo. Informazioni errate o atti pericolosi possono essere un rischio per la salute della madre e del bambino. Questo può accadere anche con i professionisti sanitari, ma in questo caso la malpractice è soggetta al controllo dei servizi sanitari e degli ordini professionali oltre che sanzionabile per legge.

La - poca - chiarezza sul ruolo. Un altro rischio è legato al significato di alcune parole, che possono essere interpretate dalle donne come appartenenti ad una professione sanitaria. Infatti, "assistere" un travaglio in campo sanitario vuol dire mettere in atto una competenza professionale sanitaria ben definita e specifica, al contrario nel linguaggio comune la parola "assistere" allude al semplice essere presente. Lo stesso equivoco può nascere con espressioni come “assistere” la gravidanza, il parto, il puerperio o “accompagnare l’allattamento”. Sono termini che, usati in ambito sanitario, acquisiscono una precisa valenza. Se utilizzati da figure di sostegno possono indurre le donne e le coppie a confondere i ruoli e ad avvalersi di un servizio credendo, invece, di avere a che fare con una figura sanitaria.

Vediamo ora cosa implica la presenza di figure di supporto non professionali dalla prospettiva delle ostetriche. Cominciamo con le opportunità.

Un’azione sinergica per obiettivi comuni. Il percorso della nascita è oggi dominato da figure mediche che, come mostrano chiaramente i dati epidemiologici, seguono la quasi totalità delle gravidanze fisiologiche, spesso nel settore privato. Negli anni, questo fenomeno ha prodotto una profusa medicalizzazione della gravidanza, del parto e dell’allattamento. Nelle gravidanze fisiologiche i costi e gli esisti di salute sono migliori (ad esempio per il minore ricorso a inutili indagini diagnostiche in gravidanza,  al taglio cesareo e all’uso di sostituti del latte materno) quando l’assistenza è garantita da figure professionali, come l’ostetrica, preposte alla fisiologia. La collaborazione attiva tra ostetriche e doula, mamme esperte o altro, può essere utile per promuovere percorsi “di cura” (la care degli anglosassoni) centrati sulla fisiologia, sull’empowerment e sulla reciproca valorizzazione come figure professionali e di sostegno, ognuna per la propria competenza.

Concentrarsi sul proprio ambito sapendo che l’altra farà il resto. Chi segue i puerperi a domicilio conosce la frustrazione che spesso si prova in queste situazioni. Sono qui adesso, ti offro ascolto, empatia, competenza professionale, ma poi me ne torno al consultorio o nel mio ambulatorio, mentre tu avresti tanto bisogno di qualcuno che ti tenga il piccolo mentre ti fai una doccia, o che faccia qualche lavatrice, che parli con la suocera indirizzandola verso le cose utili da fare in questo momento come ad esempio cucinarti qualcosa di buono mentre tu allatti invece di voler a tutti i costi nutrire il piccolino con un biberon. O qualcuno che dia un’occhiata alla poppata e ti dica che va tutto bene e che ti aiuti a gestire il bambino più grandicello, i cui bisogni in questo momento rischiano di passare in secondo piano. Per quanto siamo piene di buona volontà, ci sono bisogni delle neomamme e delle coppie a cui non siamo in grado di rispondere. Le figure di sostegno fanno questo. E spesso lo fanno molto bene. Sono l’opportunità per le donne di non trovarsi da sole quando tornano  a casa senza,  cito una puerpera, “le istruzioni per l’uso”. Questo significa che possiamo insieme “prenderci cura della madre”, e se io domani non sarò in questa casa, a meno che non ci sia un bisogno specifico, la doula o la mamma di sostegno ci sarà. E se lavoriamo in sinergia, di fronte a qualsiasi segnale di disagio o problema, saremo in grado di fare insieme il punto della situazione e decidere come procedere, ognuna per la propria parte. Da donne, questa è l’assistenza alla quale abbiamo diritto.

Un valido supporto all’assistenza professionale. Le figure di sostegno possono essere una risorsa e un supporto anche per l’ostetrica. Condividiamo il supporto emotivo alla coppia, l’offerta di informazioni, il sostegno e la gestione di alcuni aspetti di fisiologia. Una mamma di sostegno ben formata è in grado di valutare una poppata e di dare informazioni di base alla mamma, riferendo eventualmente al consultorio, all’ostetrica o al pediatra i casi che richiedono una competenza professionale. Queste figure rappresentano sia una concreta opportunità per le donne di avere accanto qualcuno che le sosterrà nella scelte che la nuova condizione pone davanti, sia una preziosa collaborazione per le ostetriche che, spesso, non riescono a rispondere alle difficoltà pratiche che nascono con una nuova famiglia.  Certo le ostetriche e i medici possono essere anche "doule" e non il contrario, ma il loro ruolo sanitario non prevede, giustamente, l’aiutare nelle faccende domestiche, nella gestione degli altri figli, nel sostegno emotivo prolungato, che invece è storicamente il primo compito di quella famiglia che nel nostro tempo si è spesso ridotta al piccolo nucleo centrale.

Quali sono i rischi legati alla presenza di figure di supporto non professionali dalla prospettiva delle ostetriche?

Sconfinamento e “abuso di professione”.  Sappiamo che tra diverse figure, professionali e non, non ci sono mai confini netti ma zone grigie dove le diverse professioni si incontrano e si integrano (e a volte si scontrano). E’ così con gli psicologi che si occupano di accompagnamento alla nascita, con i pediatri e ginecologi, con gli infermieri e infermieri pediatrici, osteopati, fisioterapisti, educatori, con le mamme di sostegno e via dicendo. Ma quando siamo nell’ambito delle professioni regolamentate i confini, per quanto sfumati, sono abbastanza chiari sia a noi sia ai cittadini. Nel caso delle figure di sostegno non è così e spesso incappiamo in situazioni nelle quali le donne non hanno affatto capito che essere seguite in gravidanza e durante il parto da una doula non è la stessa cosa di essere seguita da un’ostetrica. In alcuni casi, la scelta della donna è basata sull’opzione economicamente più vantaggiosa, non avendo chiara la differenza tra competenza professionale e sostegno. E’ molto importante a nostro avviso fare chiarezza su quali siano i confini della figura di sostegno, e renderli comprensibili in maniera inequivocabile anche alle persone che fanno ricorso ai loro servizi. Riteniamo che gli abusi di professione, qualora accertati, vadano perseguiti.

Concorrenza sleale in un mercato del lavoro stagnante. Il titoletto è volutamente provocatorio. Quelle di noi che hanno anni di esperienza e sono inserite nel sistema non si sentono minacciate dalle figure di sostegno che, al contrario, vediamo come preziose alleate. Ma il pensiero va necessariamente alle nuove generazioni di ostetriche. In assenza di volontà politiche forti, le ostetriche non riusciranno a recuperare quella collocazione a fianco delle donne che hanno avuto in passato. Da troppi anni siamo state relegate nelle sale parto, spesso scollegate dai contesti territoriali e comunitari, viviamo sulla nostra pelle la demonizzazione del parto a casa (altro che Evidence-Based Medicine, manco le streghe!), partecipiamo troppo marginalmente all’assistenza alla gravidanza e alla formazione universitaria, che è ancora gestita prevalentemente da medici e poco centrata sulla promozione della salute, sulla fisiologia e sull’empowerment. In questo quadro e con l’attuale contrazione del mercato del lavoro, le giovani laureate hanno poche speranze di trovare la propria strada. E’ urgente far ripartire i modelli di midwifery care basati sulla continuità assistenziale e sull’assistenza one-to-one. Non possiamo delegare alle giovani laureate il compito di ricavarsi spazi assistenziali nel settore privato. In un mercato del lavoro asfittico, con la competizione di altre figure mediche, come i ginecologi, e la presenza di figure di sostegno che offrono – in apparenza – gli stessi servizi, le giovani generazioni hanno poca speranza di trovare una propria collocazione.

I punti di cui sopra non sono esaustivi, sono quelli che abbiamo condiviso in ore di discussione tra noi e con altre colleghe di diversa età ed estrazione professionale.

Ci sono alcune azioni che secondo noi sono urgenti.
1. Fare chiarezza sui ruoli. Le istituzioni ostetriche, le associazioni di riferimento delle figure di sostegno e i media devono impegnarsi a fare chiarezza sui ruoli. Anche le singole persone devono avere la correttezza di spiegare all’utenza quali siano i servizi offerti e quali i confini. Per questo, le istituzioni ostetriche e le associazioni potrebbero concordare un documento comune, da diffondere attraverso i media e nell’assistenza diretta, che spieghi quali sono le differenze e le sinergie e, soprattutto, in quale modo le figure professionali e di sostegno rispondano a specifici bisogni delle donne e delle coppie e quali siano i vantaggi di ricevere un’assistenza centrata sulla fisiologia rispetto all’assistenza medica, più votata alla patologia.
2.   Fare chiarezza sui termini. Chiarire in modo inequivocabile quali siano i termini da usare per le diverse figure coinvolte, ad esempio, nel percorso nascita. Per evitare equivoci, il termine “assistenza” dev’essere, secondo noi, riservato all’assistenza professionale secondo quanto stabilito dalla legge. Per le altre forme di sostegno sarà necessario proporre una terminologia ad hoc. Il documento proposto al punto precedente potrebbe aiutare a fare chiarezza anche in questo senso.
3.  Intraprendere azioni urgenti di promozione della fisiologia e delle sue professioniste. Crediamo che le istituzioni ostetriche debbano intraprendere azioni urgenti per promuovere la presenza delle ostetriche in tutte le sedi in cui sia necessario l’accompagnamento professionale per la salute della donna e dell’età evolutiva, richiedendo con forza l’attivazione di modelli di continuità assistenziale che includano, tra l’altro, gli ambulatori per la gravidanza fisiologica, l’offerta attiva di Incontri di Accompagnamento alla Nascita, l’assistenza al parto e al puerperio a domicilio, la riabilitazione del pavimento pelvico, l’accompagnamento e l’assistenza all’allattamento. E non solo. E’ necessario garantire a tutte le donne l’accesso agli screening e alle attività di prevenzione. Ogni donna che muore oggi di cervico-carcinoma è uno schiaffo al sistema. Vanno intraprese azioni urgenti per garantire l’accesso di tutte le donne ai servizi e promuovere l’inserimento professionale delle giovani laureate. L’alleanza con le donne, con le associazioni e con le figure di sostegno è uno degli strumenti per portare queste istanze nell’agenda politica.
4.    Garantire la competenza delle laureate in ostetricia, in particolare nella gestione della fisiologia. Crediamo che sia importante investire con sempre maggiore vigore nella formazione curricolare universitaria, garantendo che tutte le laureate abbiano padronanza della gestione autonoma dell’assistenza alla fisiologia nel percorso nascita, alla gravidanza, al parto, all’allattamento e in tutti gli ambiti di competenza ostetrica. Per questo, i percorso di formazione devono garantire tirocini e accompagnamento all’assistenza autonoma, anche dei parti e dei puerperi a domicilio.
Per concludere, crediamo che le doula, come altre figure di sostegno, siano la migliore espressione dell’empowerment femminile. Sono quelle donne che, forti della propria esperienza, decidono di crescere e di costruirsi una competenza da mettere al servizio delle altre donne. Sono quelle che vorremmo avere nei gruppi durante gli incontri di accompagnamento alla nascita, nel dopo parto, per la menopausa, trascinatrici, visionarie, piene di energia, proattive per sé e di stimolo per le altre, sorelle, anche un po’ rompiscatole. Molte di noi, se non fossero ostetriche, sarebbero “donne di sostegno” perché l’idea della sorellanza è parte del nostro modo di essere ostetriche. 
In una società ideale, ostetrica e figure di sostegno dovrebbero entrambe essere presenti a fianco della mamma e della famiglia e lavorare in sinergia. In altri Paesi, come la Francia e l’Inghilterra, la presenza della doula o della mother assistant a domicilio è presa in carico dal servizio sociale.

In questa fase, riteniamo che la posizione di chiusura delle istituzioni ostetriche non aiuti, mentre aiuterebbe parlare della differenza dei ruoli e cercare sinergie per offrire migliori servizi alle donne e maggiori opportunità di inserimento professionale per le giovani. Una collega del servizio pubblico ci ha riferito che, da quando lavora in collaborazione con le associazioni di sostegno, l’ostetrica è ritornata a essere una figura di riferimento nel percorso nascita e sono aumentate significativamente le richieste di assistenza alla gravidanza fisiologica da parte dell’ostetrica. Questa sinergia è nell’interesse di tutte le figure coinvolte.

Rinunciare al confronto, al dibattito sui punti che ci stanno più a cuore significa lasciare spazio a una sola voce. Noi vogliamo parlarne, discuterne nelle sedi istituzionali e non, e cercare soluzioni che vadano nell’interesse di tutti, prima di tutto delle donne.

Il Direttivo di CreAttivaMente Ostetriche

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